Cronaca di un disastro. All’inizio del Novembre 1951, come di consueto nella climatologia alpina e padana del mese autunnale per eccellenza, un blocco anticiclonico sull’Europa balcanica aveva sistematicamente frenato l’avanzata delle perturbazioni atlantiche verso est, alimentate via via sempre più intensamente da correnti sciroccali umide addirittura di estrazione libico sahariana, che giungevano sulla Liguria, sulle Alpi e Prealpi e nel nord Italia ricchissime di umidità dopo il lungo viaggio scorrendo proprio sopra il mar Mediterraneo. In quell’Italia così povera e alle prese solamente con l’ideazione di un processo di ricostruzione che si rivelava quantomai tortuoso, non esisteva come oggi un sistema di monitoraggio dei fiumi costante, un sistema di previsione delle piene né tantomeno una qualche organizzazione che assomigliasse alla Protezione Civile.
Il fiume Po raccoglie come noto le acque del bacino Padano, con affluenti Alpini e Appenninici, ma all’epoca non aveva un sistema di argini e golene come oggi: dopo giorni di piogge incessanti soprattutto sulle regioni nordoccidentali, l’onda di piena stava attraversando la pianura padana centrale e si avvicinava pericolosamente , ingrossandosi ulteriormente con gli ultimi affluenti lombardi ed emiliani, all’ultimo tratto quello delle province di Rovigo e Ferrara. Nel mantovano alcune opere di contenimento avevano sì consentito da un lato il passaggio dell’onda di piena ad argini intatti, dall’altro avevano però creato le premesse per un inevitabile ed imminente disastro.
Nonostante in qualche modo si sapesse del rischio che incombeva, si fece veramente molto poco e male, anche a causa delle difficoltà di comunicazione che di certo non erano tempestive come quelle odierne: il 14 Novembre 1951, 73 anni fa, si stima che due terzi delle acque del Po in piena ruppero gli argini tra Frassinelle e Occhiobello nel Polesine, mietendo 100 vittime, ma soprattutto provocando 200.000 senzatetto, talvolta anche per anni. Secondo recenti stime e calcoli, il volume d'acqua complessivamente effluito è stato pari a otto miliardi di metri cubi. Il massimo volume invasato sul suolo polesano, quello cioè accumulatosi sul territorio dal momento della rotta a quello dell'inizio dello scarico a mare, verificato il 21 novembre alle ore 13.26, è stato calcolato in tre miliardi e 128 milioni di metri cubi.
La superficie allagata è stata di oltre 100.000 ha, pari a circa il 52% del territorio dell'intero Polesine, compreso il Cavarzerano (Ve).