VAJONT è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno, in Veneto. Ma è anche il nome di un DISASTRO che non si può dimenticare.
Di seguito cercheremo di raccontarvi la VERA STORIA e soprattutto gli attimi della TRAGEDIA.
La storia della piccola comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 Ottobre 1963 si elevò un’immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione. La stima più attendibile è a tutt'oggi di 1910 vittime.
Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico, l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza e il non aver dato l'allarme la sera del 9 Ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione. Ma non tutte le colpe sono da ascrivere all'uomo,infatti, anche la Natura ci ha messo lo "zampino" per così dire. Bisogna ricordare che nel 1963 i mesi da agosto fino all'inizio di ottobre furono caratterizzati da piogge frequenti ed intense che hanno contribuito sicuramente all'accelerazione del movimento di frana che era noto da tempo.
Alla fine fu aperta un'inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la prevedibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi. Ora Longarone e i paesi colpiti sono stati ricostruiti. La zona in cui si è verificato l'evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da esso si può apprendere.
CRONACA DI UN EVENTO TRAGICO - La mattina dell’8 ottobre gli strumenti di rilevazione installati dai tecnici della diga (paline luminose conficcate nel terreno) mostravano che il monte Toc si era mosso nella notte dai 57 ai 63 centimetri. Si decise di svasare il più velocemente possibile l'invaso artificiale: il livello doveva scendere sotto quota 700 (il “limite di sicurezza”) prima che la montagna vi crollasse dentro. Perché su una cosa non c'erano più dubbi: il Toc stava venendo giù.
La frana, che aveva dimensioni gigantesche si staccò alle ore 22:39 dalle pendici settentrionali del monte, precipitando nel bacino sottostante. Una massa compatta di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti fu trasportata a valle in un attimo, accompagnata da un enorme boato. Tutta la costa del monte, larga quasi tre chilometri, costituita da boschi, campi coltivati ed abitazioni, affondò verso il basso, provocando una gran scossa di terremoto. Il lago sembrò sparire e al suo posto comparve un’enorme nuvola bianca, una massa d'acqua dinamica alta più di 100 metri, contenente massi dal peso di diverse tonnellate. Gli elettrodotti austriaci, in cortocircuito, prima di esser divelti dai tralicci, illuminarono a giorno la valle, lasciando nella più completa oscurità i paesi vicini.
La forza d'urto della massa franata creò due ondate. La prima, a monte, fu spinta ad est verso il centro della vallata del Vajont che in quel punto si allarga; questo consentì all'onda di abbassare il suo livello e di risparmiare, per pochi metri, l'abitato di Erto. Purtroppo spazzò via le frazioni più basse lungo le rive del lago, quali Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino.
La seconda ondata si riversò verso valle superando lo sbarramento artificiale, innalzandosi sopra di esso fino ad investire, ma senza grosse conseguenze, le case più basse del paese di Casso. Il collegamento viario eseguito sul coronamento della diga venne divelto, così come la palazzina di cemento, a due piani, della centrale di controllo ed il cantiere degli operai. L'ondata, forte di più di 50 milioni di metri cubi, scavalcò la diga precipitando a piombo nella vallata sottostante con una velocità impressionante. La stretta gola del Vajont la compresse ulteriormente, facendole acquisire maggior energia.
Allo sbocco della valle l'onda era alta 70 metri e produsse un vento sempre più intenso.
Tra un crescendo di rumori e sensazioni che diventavano certezze terribili, le persone si resero conto di ciò che stava per accadere, ma non poterono più scappare. Il greto del Piave fu raschiato dall'onda che si abbatté con inaudita violenza su Longarone. Case, chiese, porticati, alberghi, osterie, monumenti, statue, piazze e strade furono sommerse dall'acqua, che le sradicò fino alle fondamenta. Della stazione ferroviaria non rimasero che lunghi tratti di binari piegati come fuscelli. Quando l'onda perse il suo slancio andandosi ad infrangere contro la montagna, iniziò un lento riflusso verso valle: un’azione non meno distruttiva. Altre frazioni del circondario furono distrutte, totalmente o parzialmente: Rivalta, Pirago, Faè e Villanova nel comune di Longarone, Codissago nel comune di Castellavazzo. A Pirago restò miracolosamente in piedi solo il campanile della chiesa; la villa Malcolm venne spazzata via con le sue segherie. Il Piave, diventato un’enorme massa d'acqua silenziosa, tornò al suo flusso normale solo dopo una decina di ore.
Alle prime luci dell'alba l'incubo, che aveva ossessionato da parecchi anni la gente del posto, divenne realtà. Gli occhi dei sopravvissuti poterono contemplare quanto l'imprevedibilità della natura e la negligenza umana, può produrre. La perdita di quasi duemila vittime stabilì un nefasto primato nella storia italiana e mondiale... Si era consumata una tragedia tra le più grandi che l'umanità potrà mai ricordare.


